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Esercito romano
 
 
Figura 2 - Le tinte delle lane grezze, variabili dalle tonalità miste dell'avorio, grigio e diverse sfumature dei colori bruni (marrone). 
 
 
 
 
 
I colori degli indumenti militari romani 
13 marzo 2007  
 
Bianco, rosso o colori neutri? 
La stele di Cecilius Avitus, Optio della legio XX Valeria Victrix da Chester (GB) è una delle rarissime attestazioni di reperti che avevano conservato tracce dei pigmenti originali e che gli archeologi hanno restaurato: la tunica (una Caracalla a manica lunga) è grigia, mentre la penula è bruna. 
Si tratta di colori neutri le cui diverse tonalità, assieme ai grigio-verdi, rispecchiano straordinariamente quelli degli eserciti contemporanei e che anche  il gruppo militare di ArsDimicandi ha adottato sia per necessità di rigore filologico, sia per una questione di operatvità [vedi foto]
Quest'ultimo punto in particolare ci sembra di particolare interesse: gli eserciti attuali, al di fuori delle cerimonie, adottano costumi con colorazioni neutre proprio per la necessità di mansioni sporchevoli. 
La fanteria romana d'altronde, è nota per la quotidianità di mansioni di manovalanza, dalla exercitatio militare, alla manutenzione di equipaggiamenti ed infrastrutture, se non addirittuta alla edficazioni di edifici, scavo di fossati, cunicoli e quant'altro. 
L'uso dunque delle tonalità del marrone, del grigio e forse anche del verde, risulta quanto di più ovvio ci si potesse aspettare da un esercito così moderno. A maggior ragione se pensiamo che alcune fonti indicano che ogni miles consumava più tuniche in un anno. 
Tuttavia alcuni studiosi vertono su opinioni diverse, suggerendo che i milites fossero vestiti in gran parte col colore rosso, o col bianco. 
Ma le fonti addotte a dimostrazione di ciò risultano labili, e troppo spesso interpretate senza tener conto del contesto simbolico e giuridico-sacrale che spesso come vedremo, caratterizza la rappresentazione artistica romana. 
 
Analisi antropologica del senso giuridico dei colori 
Nella simbologia giuridica Romana i colori rosso (o porpora) e bianco (candidus), rappresentano rispettivamente Marte e Giove. Nel primo il rosso indica il senso del sacrificio, dell’offerta volontaria della propria vita per la Patria Romana. Nel secondo il bianco indica lo ‘IVS’, il giudizio, la giustizia, il giuramento. Il significato di questi colori è evidente nel loro uso secolare nei ‘togati’, i magistrati e i membri di Senato ed Ordine Equestre. E’ nota la critica che i Romani facevano a quei togati che sbiancavano troppo la loro praetexta, indice di una presunzione di perfezione paragonabile allo stesso IVS PATER, Iuppiter
La possibilità di indossare il bianco nei trionfi militari era già eccezionale per i sottufficiali: Tacito narra in occasione del trionfo di Vitellio nel 69 d.C. di come solo gli ufficiali e i Principales, i sottufficiali di grado più alto, avessero il diritto di portare il bianco. 
Con l'imperatore Settimio Severo l'onore della albata decursio, ossia il diritto di sfilare in bianco fu esteso a tutti i Centurioni, mentre fu solo con Gallieno, nella seconda metà del III secolo, che  i militari tutti, compresi i soldati, poteroro portare la tunica albata nelle grandi celebrazioni. E' noto tuttavia che tale diritto fu concesso da Gallieno con l'intento di ottenere il favore dei soldati, in un periodo assai difficile per l'impero e per la successione degli imperatori. 
Ad ogni modo queste modalità di concessione del privilegio, evidenziano il particolare significato etico e religioso associato a questo colore, come d'altronde già evidenziato per  le togae praetextae dei magistrati, bianche con clavi rossi o purpurei. 
E a proposito di quest'ultimo colore, Tacito ancora descrive come in occasione del trionfo di Vitellio gli fu negato di indossare il mantello purpureo - simbolo esclusivo e sacro dei generali trionfatori - poiché Vitellio non aveva ottenuto personalmente la vittoria contro Otone, a Bedriaco, lo stesso anno. 
 
 
Il valore giuridico del bianco e del rosso qui evidenziato è ulteriormente ribadito in altre fonti. Cesare innalza sul Pretorio il vessillo rosso, e tra il nemico si scatena il panico e ugualmente Plutarco descrive un medesimo episodio. 
L’uso di indossare un mantello rosso o porpora nella Devotio, nella quale il comandante o altri ufficiali militari sacrificano la loro vita per la vittoria finale, è oltremodo significativo. L’episodio citato da Plutarco inerente a Crasso che a Carre, dimentica di indossare il paludamento porpora nell’arringa prima della battaglia, indica tutta la forza evocativa, simbolica, ma anche giuridica, del ‘dovere di una promessa di morte’ da parte del comandante in caso di necessità nello svolgimento delle operazioni belliche. 
Queste evidenze hanno una valenza prioritaria nell’analisi delle fonti: laddove la pigmentazione non sia stata alienata dal tempo - cosa assai frequente soprattutto negli affreschi — o anche laddove non vi sia la certezza che immagini o indumenti attestati dall’archeologia siano certamente riconducibili a militari romani, la presenza di tuniche o creste bianche ha relazione simbolica con lo IVS, il giudizio, la vendetta, la giusta vittoria dei Romani su altri, oppure cariche e reparti militari deputati allo svolgimento del Diritto, sino alla longa mano dell’Imperator, quali talvolta i Pretoriani o altri reparti scelti. 
La presenza del rosso o del porpora indica Marte, la Devotio, il sacrificio, l’annullamento della propria individualità a beneficio dell’esercito, dunque lo Stato: questo colore rappresenta una ‘promessa’ di morte che doveva terrorizzare l’avversario e convocare di forza il Dio rosso, come sentimento reale nelle truppe. 
 
 
 
Ipotesi di ricostruzione cromatica della colonna Traiana in base a una serie di analisi scientifiche ancora attualmente in corso: gli esami morfologici dei campioni, esami mineralogico-petrografici, immagini all’ultravioletto, all’infrarosso, al microscopio a scansione elettronica, sono destinati a determinare “estensione, tipo e composizione dei colori”. 
 
Evidenze iconografiche 
Tra le rappresentazioni riconducibili con certezza ai Romani, l’affresco di Pompei detto del ‘Giudizio di Salomone’ evidenzia un soldato con tunica rossa e due con tunica bianca [vedi foto]
Il soggetto in tunica rossa — Salomone medesimo - sostiene una lancia con mano all’altezza della testa, identificando il dio Marte. Nell’altare di Domizio Enobarbo (II sec a.C) compare la medesima postura di un ufficiale e così in innumerevoli altre rappresentazioni pittoriche, con tracce evidenti di rosso nella tunica. Tutte queste sembrano palesare una prassi universale nell’arte romana: la rappresentazione giuridico-teologica del convalidamento di una azione cruenta. Non è un caso forse che in un affresco del IV secolo d.C. presso le catacombe cristiane di Siracusa, è attestato un Marte con tunica rossastra, nella medesima posa. Culti della tradizione Romana che la Cristianità utilizza (non solo in questa occasione)  in virtù del potente simbolismo militare, capace di un secolare ed efficacie abbinamento tra Diritto e Religione. 
Nell’affresco di Pompei gli officianti al seguito di Marte indossano una tunica bianca che simboleggia la legittimità del sacrificio, mentre la cresta rossa identifica il giusto sentimento, la volontà genuina e discolpante dell’azione sanguinaria. 
L'abbinamento tra il colore bianco e cariche forensi o sacerdotali si evidenzia anche per esempio nell'affresco del I secolo d.C. da Pompei, che raffigura Terentius Neo e la moglie [vedi foto]. Egli indossa una veste bianca ed impugna un rotolo, un libro, con un fiocco rosso: simbolo appunto di una carica pubblica. 
Allo stesso modo il rilievo da Mainz di Flavoleio Cordo della Legio XIV Gemina, pur non evidenziando colori alcuno mostra il soggetto con dei rotoli nella mano sinistra,  evidenza tangibile  di una carica sacerdolare [vedi foto]. Dobbiamo aspettarci che il colore della sua tunica fosse bianco, e così per le vesti di tutti gli ufficiali e le cariche speciali legate a tali cariche. 
Al di fuori di queste, nei soldati semplici l’iconografia militare romana evidenzia tuniche di colori neutri come quelle di Chester: grigi e marroni di ogni tonalità, compreso il ruggine e tinte definite dai romani ‘rossastre’ ma in realtà color 'terra'. 
 
 
I colori "laici" dei cittadini. In questo mosaico romano (esiste una copia più tarda, un affresco dai colori tuttavia deturpati e scuriti dal tempo) si osservano il marrone, beige, giallo, arancio e sfumature azzurre. 
 
Evidenze letterarie e colori 'funzionali' 
Un papiro del II secolo d.C. riferisce di una commissione a 83 tessitori di un villaggio di Philadelphia, per tuniche di militari Romani in Cappadocia di fine, morbida e bianca lana. Il documento non specifica tuttavia se tale ordinativo fosse destinato alle parate di ufficiali e principales, o se più semplicemente si trattasse di tuniche da destinare alla tintura secondo le specificità della coorte o della legione di destinazione. 
Non vi sono altre evidenze letterarie tali da suffragare tra i soldati puri, tuniche bianche o rosse. 
Al contrario alcune fonti latine, indicano colori che suggeriscono l'idea della «mimetica», ossia di una colorazione destinata a confondersi con l'ambiente circostante. 
E questo il caso dei marinai e dei soldati di marina citati da Vegezio (IV, 37), le cui vesti (nonchè funi e vele delle imbarcazioni) sono di color acquamarina (un mix grigio-verde-azzurro, detto «colore veneto») al fine di essere meno individuabili da esploratori avversari.  
In ambito terrestre, al pari dei moderni eserciti, i colori marroni, grigi e verdi rappresentano quelli più indicati a tale scopo, e le tonalità del marrone e del grigio sono peraltro ottenibili dalle lane grezze senza nemmeno necessità di colorazione (vedasi fig. 2). 
Vi è certo da chiedersi se tale ipotesi sia compatibile davvero con le esigenze di reparti di fanteria, i quali, schierati a battaglia, tutto dovevano apparire tranne che  «mimetizzati». 
E tuttavia vero che la "battaglia campale" rappresentava un momento esclusivo e raro nelle operazioni belliche complessive di una cohorte o legione. I milites romani erano più frequentemente occupati in spedizioni di approvvigionamento di cibo e legname, nonchè spesso impiegati per operazioni di incursione che dovevano risultare fulminee e di sorpresa; parametri questi in cui la mimetizzazione nei confronti di vedette ed esploratori, risultava fondamentale. 
 
Evidenze archeologiche 
Diverse evidenze sono attestate negli indumenti militari romani: sul vallo di Adriano a Vindolanda, e altri luoghi di cui non vi è certezza della appartenenza a militari romani (Masada e altri luoghi in Giudea). In definitiva anche i frammenti riconducibili con certezza a realtà militari romane, raramente evidenziano tracce chimiche lontanamente riconducibili ad una tonalità di rosso accettabile, e certamente non attribuibili con certezza ai soldati semplici. 
 
Come interpretare gli scudi rossi? 
Se le tuniche, i mantelli e le creste bianche o rosse rappresentavano davvero elementi da indossare solo in occasioni speciali - e non per tutti - mirate a palesare la legittimità delle azioni e la corretta tempistica delle stesse, se i colori rosso o bianco, secondo l’ipotesi che qui andiamo sottolineando, rappresentavano ‘incipit’ importanti all’interno dell’esercito, e che di conseguenza tali colori dovevano rimanere nascosti se non nel momento della legittimazione di particolari codici militari, come interpretare l’ampia attestazione nelle fonti di scudi con colorazione rossa? 
In sostanza non vi è prova alcuna dell’uso indiscriminato di tali colorazioni al di fuori della battaglia o del trionfo, tale da 'inflazionare' il senso simbolico e l’efficacia giuridico-sacrale di tali colori all'interno di una Legione o di una Cohors Civium Romanorum. 
A supporto di ciò vi è l’ampia attestazione di tegumenta, involucri in pelle per gli scudi che rivelano una copertura che potrebbe non avere soli scopi protettivi al clima, ma anche della sacralità dei simboli identificati nei colori e nelle icone sugli scudi. 
Le attestazioni archeologiche di numerosi tegumenta rivelano come queste rispettassero straordinariamente la sagoma degli scudi (persino sulla semisfericità degli umboni), e ciò suggerisce come questi potessero essere utilizzati con il rivestimento in qualunque momento (esercitazione compresa), in assenza di un ‘codice’ rosso o bianco. 
Le attestazioni archeologiche delle sacche di rivestimento in pelle non colorata, suggerisce inoltre quanto sopra descritto in merito a una globale esigenza di 'mimetizzazione' dei militari romani. 
L'uso dei tegumenta marroni (color pelle) poteva permettere ai militari azioni esplorative, incursioni o altre attività diurne o notturne garantendo una maggiore invisibilità. Persino una imponente legione in marcia, complessivamente «mimetizzata» dai colori terrestri di mantelli, vesti e scudi, sarebbe stata individuata molto meno facilmente in lontananza, rispetto ad una sfavillante d'oro, d'argento e colori accesi come il rosso, il giallo e il bianco. 
 
Conclusioni 
Alcuni dipinti più antichi evidenziano scene di battaglia con piccoli gruppi di uomini: alcuni indossano vesti bianche e potrebbero essere generalizzati come semplici militari. Ma questo genere di espressione artistica rappresenta personaggi storici o leggendari, di cui quasi totalmente ci sfugge il nome, impedendoci una ricostruzione del fatto storico o mitologico tale da permettere una contestualizzazione della simbologia dei colori. L'attribuzione di pigmenti neutri (tonalità del giallo- marrone, del grigio o del verde) piuttosto che del bianco o del rosso, identifica un linguaggio peculiare e secolare dell'arte verista Romana in grado di raccontare, oltre all'aspetto pratico, il contesto etico e legale delle vicende. Argomento questo sinoro poco esplorato e che necessita di un lungo approfondimento. 
 
 
 
 

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